In questo articolo parlerò di quella voce che quasi tutti abbiamo nella testa e che, più o meno costantemente, ci corregge, ci critica e ci rimprovera. Può andare dall’essere un’occasionale presenza un po’ fastidiosa, a diventare una figura assillante che condiziona la nostra vita in ogni contesto di essa.
Nella prima parte ti parlerò di quando e perché questa voce è stata creata dentro di noi, dell’impatto negativo che può avere sulla nostra vita di tutti i giorni, ed infine di come possiamo lavorarci e, poco alla volta, trasformarla. Ti porterò anche due esempi di persone con le quali ho affrontato questa tematica e ti parlerò della tecnica che uso quotidianamente in casi come questi e che potrebbe tornare utile anche a te.
Questa voce auto-svalutante che sembra accompagnarci da sempre, ha diversi nomi: i due più utilizzati sono “giudice interiore” e “super-ego”. Poiché rappresentano la stessa cosa, mi vedrai utilizzare questi due termini indifferentemente nel corso dell’articolo.
Non ce ne rendiamo conto, ma il giudizio su noi stessi è forse la principale fonte di malessere ed insoddisfazione nella vita di una persona. Il super-ego, essendo la parte di noi che è da sempre alla ricerca delle nostre mancanze e difetti, crea una condizione interiore che ci porta ad essere in opposizione a noi stessi. Ed il lavoro su questa parte è importantissimo perché fintanto che siamo in conflitto con noi stessi, non possiamo essere in pace con noi stessi. Per questo motivo ti invito ad ascoltare il podcast intitolato “Guerra e Pace Interiore”.
Siamo spesso convinti che ciò che ci fa soffrire nella vita sia quell’insieme di situazioni che vorremmo andassero in una determinata maniera, ma che però vanno storte rispetto alle nostre aspettative: quella relazione che non funziona, quella situazione lavorativa che non va come vorremmo, quella condizione di salute che non migliora, i soldi che non bastano, e via discorrendo. Laddove è normale che queste situazioni ci possano creare apprensione, ciò che trasforma una preoccupazione in malessere è come noi viviamo queste situazioni; ovvero, il nostro stato d’animo ed il tipo di significato che diamo a queste condizioni di vita quotidiana in relazione a chi noi siamo.
Quindi, nel caso di in una relazione che non sta andando bene, abbiamo l’opportunità di prendere atto di come questa situazione ci sta facendo sentire, di come possano essere venute a crearsi queste condizioni e a cosa potremmo fare per cambiarle in meglio, se lavorando sulla relazione oppure se concludendola perché ha fatto il suo tempo. Questo sarebbe l’approccio più efficiente ed equilibrato.
Ciò che però accade, è che c’è una parte di noi che inizia ad esprimere valutazioni e giudizi sul nostro valore personale e sul perché questa situazione si è venuta a creare. E non sono perle di compassionevole saggezza, anzi, sono vere e proprie sentenze, come: “non ne combino una giusta”, “non so scegliermi le persone giuste”, “non sono capace di avere una relazione”, “non merito una relazione appagante”, “non valgo abbastanza” e via discorrendo. Quindi, sulla base di una situazione esterna, c’è una parte di noi che internamente esprime valutazioni negative personali su noi stessi.
Ognuno di questi verdetti è una picconata che va a demolire sempre un po’ di più la nostra autostima. E poiché il 95% della nostra attività cerebrale avviene a livello inconscio, se moltiplichiamo questo tipo di dialogo interno per tutte quelle situazioni della nostra vita che non vanno per il meglio, possiamo avere un’idea del livello di tormento continuo al quale sottoponiamo noi stessi quotidianamente.
Se prestiamo attenzione, tutti possiamo riconoscere questa voce ed ognuno di noi ne ha una che in certi casi può semplicemente esprimere un occasionale rimprovero. Al contempo, il nostro giudice interiore può essere una presenza crudele e profondamente dannosa che, come un martello pneumatico, costantemente ci critica, ci ridicolizza e ci b. Quanto più questa figura interiore è presente ed intensa, tanto più è l’impatto che ha sul nostro stato di benessere a livello mentale, emozionale e fisico.
DOVE E QUANDO SI CREA
La maggior parte degli psicologi concorda sul fatto che le radici di questo giudice interiore possono essere trovate nella nostra infanzia. Il padre fondatore della psicanalisi, Sigmund Freud, ha spiegato la formazione di questa voce, che lui ha chiamato “super-ego”, come un processo nel quale da bambini abbiamo interiorizzato i comportamenti delle nostre figure adulte di riferimento ed in particolare quelli dei nostri genitori.
E questa può essere una semplice voce un po’ fastidiosa che ogni tanto ci stuzzica con frasi come “certo che potevi farlo meglio”, “sicuro di stare lavorando abbastanza?” o “cosa stai facendo della tua vita?”; così come può essere un’entità crudele ed auto-flagellante che sadisticamente ci punisce ed opprime con frasi come “non vali niente”, “è tutta colpa tua” o “sei un fallimento”.
Spesso queste frasi le abbiamo sentite durante la nostra infanzia perché un genitore, un insegnante, un membro della famiglia o un qualsiasi altro adulto di riferimento le ha rivolte ripetutamente verso di noi. Ma non necessariamente, perché potremmo anche aver tratto noi queste conclusioni sulla base del loro comportamento nei nostri confronti. Un’altra possibile causa di questa voce è l’aver potuto osservare un adulto rivolgere questo tipo di dura critica verso se stesso ed avere imparato da lui. E poiché i bambini imparano per imitazione, non per educazione, anche se i nostri genitori hanno tentato di rivolgere a noi frasi amorevoli, ma rivolgevano a se stessi frasi giudicanti, noi abbiamo imparato che è con quest’ultima modalità che ci si rivolge a se stessi.
Dunque, ascoltare ripetutamente commenti e critiche severe durante la nostra infanzia può cambiare il modo con cui il nostro cervello si sviluppa. Interiorizziamo questo linguaggio austero, che diventa il nostro giudice interiore ed il filtro attraverso il quale vediamo il mondo man mano che evolviamo da bambini in adulti. Crescendo, tutti sviluppiamo dentro di noi diverse figure. Come un cast di personaggi che abitano al nostro interno, ognuno può avere dentro di sé una figura genitoriale che assume l’aspetto ed i comportamenti che abbiamo vissuto da piccoli.
Poiché nostro padre è il primo uomo con il quale abbiamo mai avuto a che fare, a lui è ispirato il personaggio con energia maschile che abita dentro di noi e lo stesso vale per nostra madre. Quindi su di loro, sui loro atteggiamenti e i loro modi di trattare se stessi, andiamo a creare queste figure che popolano il nostro inconscio.
Se dunque abbiamo avuto un genitore particolarmente severo che magari ci ha trasmesso che bisogna essere duri con se stessi per ottenere risultati nella vita, allora noi assimileremo la stessa credenza ed inizieremo ad essere duri con noi stessi.
Dunque il super-ego di un bambino, più che sul modello del genitore, è di fatto costruito sul super-ego del genitore. E questo ci permette di comprendere una cosa importante, ovvero che questo super-ego è il mezzo attraverso il quale vengono passati tutti quei principi e giudizi che si sono tramandati di generazione in generazione. Dunque i nostri genitori li avranno appresi dai nostri nonni e via discorrendo lungo la nostra discendenza familiare.
Quindi da un lato il nostro super-ego è una tradizione familiare, una testimonianza dell’appartenenza alla nostra dinastia; dall’altro, svolge la funzione della nostra coscienza, aiutandoci a sostenere il nostro senso di moralità ed allontanamento dagli aspetti tabù della vita per come sono stati tramandati all’interno della nostra famiglia.
LA SOPRAVVIVENZA IN FAMIGLIA
Quando eravamo bambini piccoli, eravamo completamente dipendenti dai nostri genitori e dal nostro ambiente familiare. Erano la nostra unica fonte di cibo, rifugio, amore ed attenzioni. Per quanto sicuro fosse l’ambiente domestico, da bambini eravamo comunque focalizzati sull’assicurarci la nostra sopravvivenza. Per sentirci al sicuro, dunque, abbiamo implementato tutti i comportamenti necessari per far sì che gli altri ci accettassero. Questo ha comportato scendere a compromessi, non potendo esprimere appieno la nostra essenza, ma accettando quegli espedienti che sentivamo ci avrebbero permesso di sopravvivere nella relazione familiare ed ottenere quelle cose di cui avevamo più bisogno.
In modo da far fronte al nostro bisogno di sentirci al sicuro come bambini, ci siamo dovuti adattare al nostro ambiente. Per riuscirci, abbiamo sviluppato questa figura, che all’epoca ha svolto la funzione di un amico interiore che ci ha aiutati a trovare il nostro posto in famiglia, a comprenderne i meccanismi e ad integrarci in essa. Con il tempo, il nostro super-ego è diventata la nostra connessione con quegli standard che ci facevano sentire al sicuro, ci facevano sentire abbastanza, ci facevano sentire accettati, buoni e giusti.
Per farlo, dovevamo accontentare i nostri genitori, dunque dare la precedenza alle loro aspettative piuttosto che ai nostri reali bisogni. Ed è lì che si è sviluppato il giudice interiore. Se i nostri genitori volevano silenzio e fare rumore avrebbe voluto dire indisporli, allora dovevamo imparare a rimproverare noi stessi se facevamo cadere rumorosamente un giocattolo. Oppure se i nostri genitori erano infastiditi dalla confusione, abbiamo imparato a rimproverare noi stessi se non facevamo le cose con sufficiente rigore. Questo ci garantiva la loro soddisfazione e dunque la nostra sopravvivenza.
In origine, il nostro super-ego aveva dunque la funzione positiva di garantire la nostra sopravvivenza. Questo includeva non solo l’identificare eventuali pericoli all’interno del nostro ambiente domestico e quali comportamenti adottare per scongiurarli, ma anche di dare un senso a ciò che ci accadeva intorno. In particolare, attraverso la creazione di narrative riguardanti noi stessi e gli altri che rendano gli eventi tollerabili.
Per esempio, bambini che non si sono sentiti amati, che sono stati costantemente criticati o che sono stati vittime di abuso hanno la tendenza ad incolpare se stessi piuttosto che i loro genitori. Poiché il bambino dipende completamente da mamma e papà per la sua sopravvivenza, un’accettazione a livello conscio del comportamento ingiusto, crudele o incompetente del genitore è semplicemente troppo devastante. È molto più sicuro per la psiche del bambino rivolgere la critica internamente piuttosto che verso l’esterno, dunque incolpando se stesso per le sventure che gli sono capitate. Ma questo, che è un funzionale meccanismo di sopravvivenza nell’infanzia, può trasformarsi in un handicap debilitante in età adulta.
Questi ripetuti rimproveri, declinati in base alla situazione familiare di ognuno, diventano dei sistemi di credenze su cui basiamo il nostro senso di valore personale. E poiché quotidianamente ripetiamo a noi stessi questi ritornelli auto-svalutanti, diventano la colonna sonora che gira costantemente in sottofondo, spesso senza che nemmeno ce ne rendiamo conto. Il super-ego, a questo punto, è il nostro DJ personale che ogni giorno mette su i dischi che creano la colonna sonora della nostra vita.
Quelli che elencherò adesso, sono alcuni dei titoli dei grandi successi del super-ego, alcuni dei quali potresti anche riconoscere. Ti invito a prestare attenzione e vedere se qualcuno di questi brani gira anche nella tua di testa:
Non sono abbastanza
Non vado bene così come sono
Non sono all’altezza
Non merito amore
Non sono in grado
Non ho potere
Non merito una relazione
Non piaccio a nessuno
Non sono capace
Non sono desiderabile
Sono imperdonabile
La mia vita è insignificante
Sono un errore
Sono una delusione
E questi solo per menzionarne alcuni!
Come puoi ben constatare, non è una colonna sonora piacevole, poiché il giudice interiore è quell’aspetto di noi che ci rammenta costantemente di queste credenze, che alimentano il nostro senso di colpa, la paura e la vergogna. L’impatto negativo di questi sistemi di credenze sul nostro corpo e la nostra psiche è profondo e può includere stress, ansia, panico, depressione, dolore emozionale, autolesionismo, disordini alimentari, alcolismo, abuso di droghe e altre dipendenze, solo per menzionarne alcuni.
Naturalmente è difficile rivolgere costantemente certe affermazioni verso noi stessi e non farlo anche con agli altri. Dunque questo giudice interiore, quando è particolarmente attivo, condiziona anche i nostri rapporti, compromettendo relazioni e inducendo uno stato di disconnessione dagli altri, oltre che da noi stessi.
E questa voce per operare non solo usa la critica, la condanna, l’accusa, il rifiuto, ma spesso implementa anche degli strumenti più subdoli, come l’uso della motivazione, dei consigli, dei suggerimenti delle domande e anche della lode. Ognuno di questi può essere utilizzato per portare dei giudizi velati ed esortarci ad essere qualcosa di diverso da ciò che siamo, ed il super-ego è molto bravo ad adattarsi alle circostanze per riuscire a fare il suo lavoro.
SILVIA
Questa dinamica è ben rappresentata da questa esperienza condivisa da una donna che chiameremo Silvia. Silvia racconta:
Avevo 6 anni e volevo iscrivermi ad un concorso di canto. Mia madre, una donna insicura che a sua volta aveva sempre paura di far figuracce davanti agli altri, mi dissuase, dicendomi di lasciar perdere e che si sarebbero solo fatti beffa di me.
Come bambina, ho interiorizzato questa paura di salire su un palco o anche solo di essere troppo visibile, diventando terrorizzata all’idea di apparire in pubblico e di essere ridicolizzata. Solo dopo molti anni e tanto lavoro di crescita personale nel quale ho affrontato questa paura, sono riuscita a superarla. Ho dovuto convincere questa parte di me, il giudice interiore, che con sufficiente preparazione, sarebbe andato tutto bene. Se mi fossi allenata abbastanza, ce l’avrei fatta senza fare figuracce.
Nonostante il giudice si fosse calmato un po’, continuava comunque a giudicarmi, trovando sempre qualcosa che non andava nelle mie esibizioni o anche se dovevo parlare ad un gruppo di colleghi al lavoro. Ero sempre eccessivamente preoccupata di cosa gli altri pensassero di me e c’era ancora quella paura che si sarebbero fatti beffa di me se avessi mostrato le mie doti artistiche.
Da bambina ero pronta a salire su quel palcoscenico e condividere i miei talenti senza riserve o preoccupazione di cosa gli altri avrebbero pensato di me, ero spontanea e libera. Quando è stato introdotto nella mia testa il pensiero che qualcuno avrebbe potuto trovare la mia esibizione ridicola, ho sviluppato un’ipersensibilità a come gli altri mi avrebbero percepita.
Sono esperienze come questa che portano il giudice interiore a mettere radici dentro di noi. Non sono più stata la stessa da allora. Non ho più avuto la stessa capacità di esprimere me stessa con naturalezza. Anzi, ho iniziato a sentire che c’era qualcosa di sbagliato in me e nel mio modo di esprimermi. Era qualcosa che doveva essere giudicato.
Nel mio caso, il mio giudice interiore voleva aiutarmi proteggendomi dal rischio di essere derisa dagli altri. Di conseguenza, mi scoraggiava in continuazione e su quanti più fronti possibili, ma più passava il tempo, più erano gli aspetti della mia vita sui quali il mio super-ego mi giudicava. Una volta diventata adulta, il mio giudice era diventato implacabile, trovando difetti in tutto quello che facevo e facendomi sentire che non valevo abbastanza.
COME CI GUIDA
Grazie a questa condivisione di Silvia, comprendiamo come ponendo l’accento su tutti i nostri percepiti difetti e mancanze, il giudice interiore, a modo suo, è convinto di starci aiutando. Se ci scoraggia dal provare a fare qualcosa, come invitare una persona che ci piace ad uscire, fare un’esibizione o avviare una nuova attività, potrebbe farlo dicendoci che falliremo. Ci vuole impedire di provare, non per cattiveria, ma per proteggerci, perché così non rischiamo di farci del male, o di renderci ridicoli o di fallire.
Forse è qui che molti dei primi giudizi sono nati: un genitore che ci ha scoraggiati dal fare qualcosa perché stava proiettando le proprie ansie su di noi. Come un genitore mosso dalle proprie insicurezze infantili, il giudice interiore si “traveste” da adulto, da parte più matura, più saggia, più ragionevole e protettiva. Ma poiché è mosso dalla paura più che dall’amore, anziché darci un senso di tranquillità, l’impatto che ha su di noi è di un senso di stress ed insicurezza.
Quindi, laddove il giudice interiore sembra volerci proteggere, in realtà poiché è in netto contrasto con quella che può essere la parte più naturale e spontanea di noi, va a creare un conflitto interiore nel quale chi noi siamo e chi questa parte ci dice che dovremmo essere, sono in netta contrapposizione. Questo alimenta sentimenti di vergogna e senso di colpa, oltre che sabotando le relazioni intime e inducendo comportamenti autodistruttivi. Quindi, seppur motivato dalle migliori intenzioni, questo giudice interiore, nel rammentarci quale sia la cosa giusta da fare, anziché renderci più sicuri di noi, aumenta la mancanza di fiducia in noi stessi, e mina la nostra autostima.
Quando è più ostinato, il super-ego è perfezionista e lo fa bloccando i nostri impulsi, la nostra creatività, i nostri sentimenti e le nostre azioni. Possiamo immaginare il super-ego come una coscienza che punisce i comportamenti di cui non approva attraverso il senso di colpa e la vergogna. Poiché è mosso da una sua morale, il super-ego punta ad agire in una maniera socialmente appropriata, controllando il nostro senso di giusto e sbagliato. Ci aiuta ad integrarci nella società inducendoci a comportarci in maniera socialmente opportuna.
Il giudice interiore ha però anche il potere di farci sentire un’ansia costante. Se è presente in modalità iper-vigile, allora è incessantemente impiegato ad individuare pericoli per la nostra salute fisica e psicologica, diventando catastrofista, esagerando ed amplificando gli aspetti negativi e minimizzando il buono che c’è nelle nostre vite. Nelle sue forme più estreme, può portarci ad interpretazioni paranoiche di comportamenti altrui, attribuendo intenti negativi alle parole e ai gesti degli altri, creando l’aspettativa di una punizione o di un allontanamento da parte degli altri. Questa iper-sensibilità a ciò che potrebbe andare storto può generare un’ansia cronica e ci sono diversi studi che hanno collegato stati ansiosi con la presenza di voci critiche interiori.
FARE LUCE SUL SUPER-EGO
Possiamo andare avanti una vita intera senza nemmeno renderci conto che questa voce esiste dentro di noi. Fintanto che ne ignoriamo l’esistenza, potremmo essere convinti che siamo semplicemente fatti così, che sia la nostra personalità e come la nostra mente operi naturalmente. Ma quando arrivano momenti di disagio e magari ci rivolgiamo ad una figura terapeutica per cercare di capire i motivi di questo malessere, allora qualcuno che ci osserva da fuori potrebbe iniziare a farci notare aspetti di come ci esprimiamo nei confronti di noi stessi.
Con il tempo, impariamo che non si tratta di pensieri di nostra creazione, bensì di pensieri ereditati dalla nostra famiglia che noi semplicemente continuiamo a ripetere a ciclo continuo. Nel momento in cui prendiamo atto del fatto che questa voce che ci accompagna da sempre non ci aiuta, anzi, magari è la principale responsabile della nostra ansia e di uno stato generalizzato di malessere, ci troviamo di fronte alla difficile scelta di cosa farne. E qui la scelta è tutt’altro che semplice, perché ognuno di noi reagisce in maniera diversa alla scoperta di questa voce.
C’è chi la discolpa, giustificandone il comportamento perché in fin dei conti “lo fa per il nostro bene”. C’è chi la sente come un’importante eredità della nostra famiglia e dunque qualcosa da custodire. C’è chi teme il cambiamento e preferisce qualcosa di familiare e conosciuto piuttosto che un ignoto privo di certezze. C’è chi resta affezionato ad una voce paterna o materna e pertanto si fa guidare dalla nostalgia. C’è chi ha paura di non meritare di stare meglio e dunque si costringe a restare in una condizione di malessere. C’è anche chi non cambia per una sorta di lealtà nei confronti della propria famiglia: poiché questa voce l’abbiamo imparata da loro, abbandonarla sarebbe un po’ come tradire una tradizione che si tramanda da generazioni.
Ci sono tanti modi con cui possiamo lasciare che questo giudice interiore continui il suo operato indisturbato e non è finché prendiamo pienamente atto di quanto danno sta facendo al nostro benessere psico-fisico, che troviamo le risorse per iniziare a mettere in atto un cambiamento.
Quando scegliamo di attuarlo, una delle prime reazioni che possiamo avere nei confronti di questa voce è quella di trattarla come un nemico da combattere e sopraffare. Un approccio di questo tipo, però, per quanto comprensibile, può essere controproducente. Non solo richiede un importante investimento energetico, ma qualsiasi situazione nella quale saremo impegnati in una battaglia, non potrà portarci pace.
Un’altra reazione potrebbe essere quella di semplicemente ignorare questa voce, comportandoci come se non ci fosse. Un problema di questo approccio è che nel cercare di ignorarla, smettiamo di farci caso e, fondamentalmente, non cambia nulla, perché questa voce continua indisturbata a parlarci a livello inconscio. E gli effetti delle sue parole sono comunque percepiti sul piano fisico, psicologico ed emozionale.
TRASFORMARLO
Dunque qual è il modo migliore per trasformare questa parte di noi?
La modalità che negli anni ho trovato più efficace si svolge in 3 fasi che ho classificato: identificazione, disidentificazione e re-identificazione.
Partiamo dalla prima fase, quella di identificazione.
Durante questa fase, il lavoro consiste nel riconoscere il super-ego. Alcuni di noi potrebbero essere completamente ignari dell’esistenza di questo giudice interiore. Il primo passo, dunque, è quello di identificare questa voce dentro di noi partendo da come si esprime. Potremmo fare una lista del suo vocabolario più utilizzato, delle sue frasi tipiche, ma anche del tipo di voce che può avere, dell’età, del genere e anche visualizzandone l’aspetto fisico.
Questa fase richiede tempo, naturalmente, perché ci dobbiamo mettere nell’ordine di idee di essere degli osservatori imparziali che semplicemente prestano attenzione a questa voce che periodicamente fa capolino e ci dice determinate cose. Man mano che restiamo in ascolto di ciò che dice e come lo dice, iniziamo anche a prestare attenzione a come ci fa sentire. L’impatto che queste frasi hanno su di noi è fondamentale, perché ci aiuta a prendere pienamente atto dell’effetto negativo di questa voce sul nostro benessere psico-fisico.
Una volta che abbiamo identificato questa parte di noi e le sue espressioni tipiche, passiamo alla seconda fase, quella di disidentificazione, nella quale facciamo un gesto consapevole per prendere le distanze da questa voce. Già il semplice fatto di notare in maniera più distaccata le sue parole, ci ha permesso di iniziare a disidentificarci da questa voce, poiché nell’osservarla, creiamo separazione tra noi ed essa. Ma in questa seconda fase assumeremo un ruolo più attivo in questo senso, affermando anche in modo più deciso che ciò che afferma non è la nostra verità.
Dunque, poiché il nostro super-ego andrà comunque avanti a ripetere le sue cose anche ora che lo stiamo osservando, in questa seconda fase, ogni volta che ci accorgeremo che questa voce ha espresso uno dei suoi giudizi, noi internamente diremo a noi stessi che ciò che afferma quella voce NON è vero e non lo crediamo veramente. Per questa operazione coinvolgeremo una nuova parte di noi che prenderà una posizione netta.
Questa nuova figura è una parte adulta ma, diversamente dal super-ego, è comprensiva, amorevole e non giudicante. È quella voce di cui avremmo sempre avuto bisogno e che ci incoraggia, che ci sostiene e che ci ricorda delle nostre qualità anziché dei nostri difetti. Idealmente, è quella voce adulta che poco alla volta vorremmo prendesse il posto del giudice interiore.
In questa fase è necessario prestare attenzione a noi stessi, portando consapevolezza e ascolto a ciò che avviene dentro di noi. Questo comporta essere presenti, aperti e ricettivi a ciò che che si muove non solo a livello dei nostri pensieri, ma anche a livello corporeo poiché ciò che scopriremo è che ciò che diciamo a noi stessi ha un impatto anche a livello fisico.
Ci accorgeremo che quando rivolgiamo parole giudicanti verso noi stessi, queste provocano tensione, contrazione e disagio nel nostro corpo. Inducono stress, ansia e malessere sul piano emozionale, inibendo la creatività, la spontaneità ed il libero fluire del nostro sentire. Diversamente, nel momento in cui rivolgeremo parole compassionevoli verso noi stessi, l’impatto sul nostro corpo sarà di rilassamento, leggerezza ed un senso di maggiore benessere.
Infine, la terza fase, quella di re-identificazione, è quella nella quale diamo a noi stessi una conferma di quello che è il nostro reale valore a prescindere da quelli che possono essere stati i giudizi del nostro passato. In questa fase ci occupiamo attivamente di ripetere a noi stessi quella che sappiamo essere la verità su di noi e sulle nostre qualità, in modo da rinforzare il nostro senso di valore e darci l’opportunità di esprimere sempre più il nostro pieno potenziale. Per qualcuno di noi potrebbe essere necessario andare a cercare le nostre qualità, perché potremmo non esserne consapevoli.
Da questo punto di vista, la nostra conoscenza delle frasi preferite del giudice interiore ci permetterà di comprendere quali sono le parole che abbiamo più bisogno di sentire, semplicemente ribaltando quei giudizi che abbiamo ascoltato negli anni. Se quindi la frase preferita del nostro super-ego era: “non valgo abbastanza”, la frase che andremo a ripetere a noi stessi potrebbe essere: “sono una bella persona” oppure “vado bene così come sono”. Questo tipo di affermazione, affiancata da tecniche specifiche, può avere effetti molto profondi in tempi anche piuttosto brevi.
Giorgio
Facciamo dunque un esempio per mostrare queste tre fasi nel caso di un mio cliente che chiameremo Giorgio:
Giorgio si rivolge a me perché soffre di ansia, che si è intensificata dopo che ha cambiato lavoro e gli è stato assegnato un ruolo di maggiore responsabilità. Quest’ansia, oltre a farlo vivere con un malessere quasi costante, compromette anche la sua resa lavorativa, portandolo ad essere meno produttivo, a ritardare le scadenze e a temere di poter essere licenziato. Si rivolge a me perché vuole eliminare questo disturbo e tornare ai livelli di efficienza di una volta.
Nel corso delle prime sedute, apprendo che Giorgio ha avuto un padre molto severo ed esigente. Era convinto che nella vita si dovesse lavorare tanto e lavorare duro in ogni situazione per ottenere il massimo dei risultati possibili. Questo ha insegnato a Giorgio ad essere molto esigente ed iper-critico con se stesso, caratteristica che ha sin da piccolo, tant’è che più volte mi ripete con orgoglio: “Sono fatto così, se faccio una cosa, la devo fare alla perfezione”.
Man mano che approfondiamo questa sua caratteristica, scopriamo che Giorgio ha un rapporto di amore e odio con questa parte di sé che, qualsiasi cosa faccia, gli ripete che non sta facendo abbastanza e lo esorta a dare di più. Nei momenti migliori la sente come un sostegno che lo sprona a dare il massimo, in altri è una voce crudele ed ingiusta, che sottolinea tutte le sue mancanze e non gliene fa passare una.
A questo punto invito Giorgio ad ascoltare con attenzione questa voce nel corso dei giorni e a scriversi tutto quello che gli dice. Nella seduta successiva mi fa l’elenco di tutte le frasi che questa voce gli ripete da sempre nel corso della sua vita. Lo accompagno in uno stato di rilassamento e lo guido in una visualizzazione nella quale gli chiedo se quella che sente è una voce di uomo o di donna. Giorgio mi mi parla di una voce maschile di mezza età. Lo invito ad immaginare di andare ad incontrare questa voce e descrivermi che aspetto ha. Lui mi racconta di vedere suo padre, molto più giovane di adesso, che con volto duro e fare severo, lo rimprovera per tutto ciò che non è in grado di fare.
Vedo le mani di Giorgio che si stringono in pugni ed il suo volto arrossire. Gli domando cosa provi e lui mi dice di provare vergogna e molta rabbia. “Non è giusto”, continua a ripetere, e la sua rabbia lo porta alle lacrime, sconfinando nella tristezza. Mi racconta di quanto si sia impegnato, di quanto abbia cercato di rendere fiero suo padre e di quanto comunque non sia mai stato abbastanza.
Invito Giorgio a continuare ad osservare questa voce nel corso delle sue giornate, a prendere nota di quello che gli dice, ma soprattutto a notare come questo lo fa sentire. Con il passare delle sedute, il modo con cui Giorgio mi parla di questa voce non è più lo stesso, laddove in principio era quasi fiero di questa presenza militaresca che gli garantiva una maggiore efficienza, ora non la sente più così utile, anzi, si accorge che ogni volta che parla, la sua ansia sale ed il suo corpo entra in tensione.
Lo invito a considerare la possibilità che questa voce, laddove lo faccia convinta di fare il suo bene, non sia altro che la voce di suo padre per come lui l’ha interiorizzata da piccolo. Con questo passaggio, Giorgio inizia a considerare la possibilità di prendere le distanze da questa voce, non più tanto convinto che tutto quello che gli dice sia effettivamente utile al proprio benessere.
Nel corso delle settimane, si rende conto dell’enorme differenza che fa dentro di sé pensare “non valgo abbastanza” rispetto a pensare “Il mio giudice interiore mi sta dicendo che non valgo abbastanza”. Questo lo aiuta a creare distanza tra se stesso e questa voce, osservando queste parole con maggiore oggettività e distacco.
Nel corso delle sedute, inizio ad accennare a quella che potrebbe essere una voce diversa da introdurre nel suo dialogo interiore. Laddove il super-ego basa le proprie affermazioni sulla critica, inducendo stress e ansia nel sistema, iniziamo a pensare ad una voce che possa portare ad una condizione interiore diversa, generando maggiore rilassamento e tranquillità.
Insieme elaboriamo alcune frasi che hanno un effetto rassicurante sul suo sistema psico-fisico. Nel corso delle settimane, con la pratica quotidiana di queste affermazioni attraverso l’uso di alcune tecniche specifiche, Giorgio inizia sentire di essere più rilassato nella sua vita e sul lavoro. Questo, oltre a migliorare la qualità delle sue giornate, lo rende meno stressato e anche più efficiente nella sua resa professionale.
Con il passare dei mesi, si rende conto che la tendenza a ritardare le scadenze era un suo modo inconscio di boicottare quella situazione nella quale provava tutta quell’ansia. Una parte di sé voleva trovare il modo di non dover più lavorare in quell’azienda, così non si sarebbe più trovata a provare quei livelli di stress. Stava dunque cercando di sabotare il suo nuovo lavoro per garantire a se stesso un po’ più di tranquillità interiore.
Oggi Giorgio riesce a vivere più serenamente la sua situazione lavorativa perché non è più così duro ed esigente con se stesso. Si rende conto che non vuole tornare ai livelli di efficienza e perfezionismo di una volta, in quanto gli è sufficiente fare del suo meglio rispettando se stesso ed i suoi limiti. Ha a sua disposizione quegli strumenti che lo aiutano a calmare il suo sistema e sa di poterli implementare ogni qualvolta ne senta il bisogno.
Conclusioni
Il lavoro di Giorgio, come quello di tante altre persone che ho accompagnato in questi 15 anni, non è stato facile. È durato più di un anno ed ha richiesto pazienza, perseveranza e amore per se stesso, utilizzando diverse tecniche, tra cui l’EFT, la meditazione e la mindfulness.
Per tutte queste persone, in principio è stato difficile vedere questo giudice interiore come qualcosa di malsano. Nel momento in cui questa voce li accompagnava da tutta la vita, alla fine era un po’ come abbandonare una tradizione familiare che si tramandava di generazione in generazione.
È stato quindi fondamentale la loro volontà di conoscere questo giudice interiore e scoprire in quanti e quali modi stava compromettendo il loro benessere. A questo punto, hanno potuto decidere quale modalità fosse migliore per loro. Come sempre, la consapevolezza è stata il passaggio necessario per poter fare una scelta.
Diventare adulti non comporta solo l’aspetto anagrafico, compiendo diciott’anni, ma consiste piuttosto nello scegliere cosa dei nostri genitori vogliamo tenere con noi e cosa lasciare a loro. Non è amore quello che dimostriamo alla nostra famiglia nel momento in cui facciamo nostro ogni singolo comportamento e modalità che da loro possiamo avere ereditato. Magari possiamo vederla come una forma di lealtà nei loro confronti, ma certo non la è nei confronti di noi stessi. Questo non vuol dire necessariamente tagliare i legami con la nostra famiglia, però vuol dire scegliere la strada giusta per noi, quella che ci porterà a vivere con maggiore pace e serenità la nostra vita, onorando il nostro passato, ma onorando ancor di più noi stessi, i nostri bisogni e ciò di cui abbiamo più bisogno per essere felici.
Nel momento in cui abbiamo ancora delle resistenze nei confronti del lasciare andare questa voce giudicante, la domanda più importante che possiamo fare a noi stessi è: “tratterei mai così una persona che amo?” Siamo disposti a rivolgere a noi stessi parole dure e severe, ma saremmo disposti a farlo con un bimbo, con un’amica del cuore, con una persona anziana alla quale vogliamo bene? Se ci fermiamo per un attimo a chiederci se saremmo disposti a rivolgere queste stesse parole alle persone che più amiamo, ci renderemmo conto che questo non lo faremmo mai perché causeremmo loro tanta, troppa sofferenza.
È dunque solo nel momento in cui ci rendiamo conto della quantità di malessere che causiamo a noi stessi, che possiamo anche trovare la compassione e la motivazione per scegliere di agire diversamente. È ancora una volta una scelta basata sul cuore più che sulla mente. Non ultimo, è la scelta consapevole di ciò che potremo tramandare ai nostri figli, che da noi impareranno a vivere la loro vita, osservando i nostri comportamenti e facendoli loro. Quindi se non per noi stessi, vale decisamente la pena di farlo per loro.
Se senti il bisogno o il desiderio di lavorare sul tuo giudice interiore, puoi contattarmi da qui.